C’era una volta un bambino che non possedeva nulla se non i poveri vestiti che indossava e una strana piccola moneta che luccicava anche quando tutt’intorno era buio.
Non aveva una casa e non aveva una famiglia, ma il nostro bambino non si era mai sentito solo. Viveva in una grande città piena di luci, voci e suoni e guardava la vita scorrere intorno a lui con gli occhi di chi aspetta qualcosa di importante.
Era felice, il nostro bambino. Felice di rivedere ogni mattina il giovane cocchiere uscire sbadigliando da casa o il burbero giardiniere affrettarsi a togliere le foglie dai marciapiedi. E sorrideva quando sentiva il rumore familiare dell’orologiaio che apriva bottega e il profumo dolce e caldo che usciva dal camino della pasticceria all’angolo.
Allora scendeva a due a due i cento settanta scalini della torre dell’orologio dove aveva trovato rifugio e, correndo, A andava incontro al nuovo giorno.
Erano i suoi occhi sempre felici a renderlo un bambino molto speciale e tutti, proprio tutti, a modo loro, si prendevano cura di lui. Se la pasticciera provava la ricetta di un nuovo dolce, spettava a lui l’onore di assaggiarla per primo, il burbero giardiniere aveva sempre bisogno delle sue mani delicate per sistemare i fiori nelle aiuole e il vecchio orologiaio, nonostante le sue lenti magiche, si faceva aiutare dai suoi giovani occhi per assicurarsi che tutti i meccanismi fossero montati al posto giusto. Dì tanto in tanto, a fine turno, il cocchiere gli permetteva di strigliare i cavalli e in cambio gli donava una sciarpa o un paio di guanti dimenticati da qualcuno sui sedili della sua carrozza o lo portava a fare un ultimo giro lungo i viali della città.
E ascoltava, il nostro bambino. Ascoltava le loro piccole e grandi storie e osservava tutto con silenziosi occhi affamati di sapere.
Gli anni dell’infanzia scivolarono via così, stringendo e annodando i fili invisibili dell’affetto intorno a quelle persone che avevano reso ogni suo giorno un po’ speciale, finché una mattina i battenti della bottega dell’orologiaio rimasero chiusi.
“Le sue mani soffrono”, gli confidò il cocchiere, scuotendo la testa. “A volte succede quando si diventa molto vecchi”.
“Tornerà?”
“Ho paura di no”.
Il bambino tirò fuori dalla tasca la strana piccola moneta che aveva ricevuto in dono dall’orologiaio anni prima e la fissò.
La sua luce si stava spegnendo.
Con il cuore pesante, salì nel suo rifugio in cima alla torre, si affacciò al lucernario e pensò e pensò per una notte intera finché non seppe cosa fare. Raccolse in un fagotto tutto ciò che gli serviva e si arrampicò tra i giganteschi meccanismi dell’orologio.
Lavorò per giorni, senza mai smettere. Lavorò con la monetina stretta al cuore, tenendola in vita con il proprio calore e quando ebbe finito di invertire tutti gli ingranaggi dell’orologio della torre, una fredda folata di vento fece bisbigliare tutti gli alberi della città e ogni cosa tornò com’era stata qualche giorno prima. Allora il bambino prese la moneta che brillava di nuovo, la sistemò tra le due grandi lancette e… fermò il tempo.
Poi, corse per strada e si guardò intorno con il cuore che batteva forte. Il cocchiere uscì di casa sbadigliando, la pasticciera sfornò la prima torta della giornata, il giardiniere prese dal carretto la scopa e il vecchio orologiaio aprì i battenti della sua bottega.
E, come aveva sempre fatto, il bambino aiutò a ripulire i marciapiedi dalle foglie, assaggiò una fetta della torta ancora calda, legò i cavalli alla carrozza e mentre cominciavano a scendere i primi fiocchi di neve, si fermò davanti alla bottega dell’orologiaio e sbirciò attraverso la vetrina, gli occhi colmi di una felicità che non aveva mai provato.
Da quel giorno nevicò per moltissimo tempo.Non aveva una casa e non aveva una famiglia, ma il nostro bambino non si era mai sentito solo. Viveva in una grande città piena di luci, voci e suoni e guardava la vita scorrere intorno a lui con gli occhi di chi aspetta qualcosa di importante.
Era felice, il nostro bambino. Felice di rivedere ogni mattina il giovane cocchiere uscire sbadigliando da casa o il burbero giardiniere affrettarsi a togliere le foglie dai marciapiedi. E sorrideva quando sentiva il rumore familiare dell’orologiaio che apriva bottega e il profumo dolce e caldo che usciva dal camino della pasticceria all’angolo.
Allora scendeva a due a due i cento settanta scalini della torre dell’orologio dove aveva trovato rifugio e, correndo, A andava incontro al nuovo giorno.
Erano i suoi occhi sempre felici a renderlo un bambino molto speciale e tutti, proprio tutti, a modo loro, si prendevano cura di lui. Se la pasticciera provava la ricetta di un nuovo dolce, spettava a lui l’onore di assaggiarla per primo, il burbero giardiniere aveva sempre bisogno delle sue mani delicate per sistemare i fiori nelle aiuole e il vecchio orologiaio, nonostante le sue lenti magiche, si faceva aiutare dai suoi giovani occhi per assicurarsi che tutti i meccanismi fossero montati al posto giusto. Dì tanto in tanto, a fine turno, il cocchiere gli permetteva di strigliare i cavalli e in cambio gli donava una sciarpa o un paio di guanti dimenticati da qualcuno sui sedili della sua carrozza o lo portava a fare un ultimo giro lungo i viali della città.
E ascoltava, il nostro bambino. Ascoltava le loro piccole e grandi storie e osservava tutto con silenziosi occhi affamati di sapere.
Gli anni dell’infanzia scivolarono via così, stringendo e annodando i fili invisibili dell’affetto intorno a quelle persone che avevano reso ogni suo giorno un po’ speciale, finché una mattina i battenti della bottega dell’orologiaio rimasero chiusi.
“Le sue mani soffrono”, gli confidò il cocchiere, scuotendo la testa. “A volte succede quando si diventa molto vecchi”.
“Tornerà?”
“Ho paura di no”.
Il bambino tirò fuori dalla tasca la strana piccola moneta che aveva ricevuto in dono dall’orologiaio anni prima e la fissò.
La sua luce si stava spegnendo.
Con il cuore pesante, salì nel suo rifugio in cima alla torre, si affacciò al lucernario e pensò e pensò per una notte intera finché non seppe cosa fare. Raccolse in un fagotto tutto ciò che gli serviva e si arrampicò tra i giganteschi meccanismi dell’orologio.
Lavorò per giorni, senza mai smettere. Lavorò con la monetina stretta al cuore, tenendola in vita con il proprio calore e quando ebbe finito di invertire tutti gli ingranaggi dell’orologio della torre, una fredda folata di vento fece bisbigliare tutti gli alberi della città e ogni cosa tornò com’era stata qualche giorno prima. Allora il bambino prese la moneta che brillava di nuovo, la sistemò tra le due grandi lancette e… fermò il tempo.
Poi, corse per strada e si guardò intorno con il cuore che batteva forte. Il cocchiere uscì di casa sbadigliando, la pasticciera sfornò la prima torta della giornata, il giardiniere prese dal carretto la scopa e il vecchio orologiaio aprì i battenti della sua bottega.
E, come aveva sempre fatto, il bambino aiutò a ripulire i marciapiedi dalle foglie, assaggiò una fetta della torta ancora calda, legò i cavalli alla carrozza e mentre cominciavano a scendere i primi fiocchi di neve, si fermò davanti alla bottega dell’orologiaio e sbirciò attraverso la vetrina, gli occhi colmi di una felicità che non aveva mai provato.
Fece freddo così a lungo che, un po’ per volta, le persone smisero di sorridere.
Le strade della città diventarono sempre più silenziose, gli alberi ghiacciarono e scomparvero anche le voci dei bambini che giocavano nel cortile della scuola.
In quella città senza tempo, nessuno sentì più il primo dolce vagito di una creatura venire al mondo.
Fu il giardiniere, una mattina, ad accorgersi che qualcosa non andava. Si chinò sulle violette che aveva piantato tanto tempo prima e le sfiorò con la punta delle dita. Il bocciolo si spezzò e cadde a terra.
“Questo è l’inverno più lungo che io ricordi”, disse al nostro bambino. “Gli alberi soffrono, il fiume si è gelato e i mulini non funzionano più. Come macineremo il nostro grano? E cosa daremo da mangiare ai nostri figli?”
Allora il bambino si guardò intorno, lentamente, e per la prima volta vide ciò che fino ad allora non era stato capace di vedere.
E sentì il silenzio.
Corse alla bottega dell’orologiaio e lo abbracciò.
“Credo sia venuto il momento di rimettere le cose a posto”, gli disse il vecchio.
Il bambino spalancò gli occhi.
“Come faccio a saperlo?” L’orologiaio posò le sue pesanti lenti magiche sul banco da lavoro e sorrise. “Per molto tempo mi sono chiesto cosa fosse quella strana piccola luce che brilla ogni notte tra le lancette dell’orologio della torre. Ora credo di averlo capito”. E gli sfiorò dolcemente i capelli con la mano. “Mi hai fatto il dono più grande che qualcuno possa fare a un essere umano. Mi hai donato ancora un po’ di tempo. Ed è stato incredibile, ma ora, piccolo mio… ora devi lasciare che la vita faccia il suo corso”.
“E tu cosa farai?” chiese il bambino con gli occhi lucidi.
“Io ti ho insegnato tutto quello che sapevo. Ora tocca a te”. Estrasse dal grembiule consumato dal tempo le chiavi della bottega e gliele porse. “Costruisci il più bell’orologio che si sia mai visto.”
Fu l’ultima neve di quell’anno.
Poco prima di mezzanotte, le lancette del grande orologio della torre ripresero a muoversi.
Un tiepido e leggero soffio di vento fece tintinnare i cristalli di ghiaccio sugli alberi, destò dal lungo sonno il fiume e, mentre ogni cosa nella nostra città sembrava risvegliarsi, il vecchio orologiaio si sedette nella poltrona davanti alla finestra e, con un sorriso tranquillo e colmo di riconoscenza, lasciò correre un’ultima volta lo sguardo su quella vita che aveva tanto amato.
Tutti i diritti riservati © Claudia Mancino
Illustrazione di Anna Bertenasco
E' bellissima. I miei complimenti.
RispondiEliminaAlessandro
Grazie Alessandro :-)
EliminaSì, davvero bellissima. Aspetto le altre :-)
RispondiEliminaSei grande
Sofia
Un po' per volta le carico tutte, promesso
EliminaUna fiaba d'altri tempo. Bellissima!
RispondiEliminaR.
grazie R
EliminaBellissima
RispondiEliminaComplimenti..
grazie Sebastiano.
EliminaBrava! Una bella fiaba Claudia: ti occupi di bambini tu?
RispondiEliminaSono una mamma e per diventarlo ho dovuto lottare 10 anni. Quando guardo i miei figli, ancora adesso, ho la sensazione di aver dato vita a qualcosa di immenso. Ho cominciato a scrivere fiabe per loro quando loro mi hanno permesso di entrare nel loro mondo fatto di curiosità e mille domande a cui spesso noi adulti non rispondiamo. Questa fiaba è stata scritta dopo la morte di mio padre, perchè volevo che crescessero nella consapevolezza che la morte, per quanto dolorosa, è parte della vita e naturale. Sai, a volte ho la sensazione che gli adulti sottovalutino i bambini e la loro capacità di comprendere. Quello che accade, loro lo vivono e lo comprendono osservando noi. E' una responsabilità enorme di cui spesso ci dimentichiamo.
EliminaCommovente e di una dolcezza disarmante
RispondiEliminaGrazie di cuore Kati
EliminaChe fiaba meravigliosa e senza tempo!
RispondiEliminaSì, senza tempo. E nasce da una storia vera. Grazie Sonia
EliminaBELLISSIMAAAAAAAAAAA!
RispondiEliminagrazieeeeeeeeeeeee!
EliminaMeravigliosa, Claudia.
RispondiEliminaCiao Pia, grazie
EliminaMagia allo stato puro!
RispondiEliminaBellissimo commento, grazie Cosimo
EliminaMolto molto bella. Hai un talento invidiabile. E brava!!!
RispondiEliminaGrazie di cuore Mariapia
EliminaPermette profonde riflessioni ed è straordinariamente educativa anche per gli adulti!
RispondiEliminaIlaria
Bellissimo complimento, grazie di cuore
EliminaAnche a me piacerebbe avere il libro...
RispondiEliminaStampale da qui e prenditene cura :-) I libri sono esauriti da tempo
EliminaEì di una bellezza incredibile. Sentivo il profumo della neve e lo sferragliare del cavalli. ma esiste ancora un mondo in cui siamo capaci di prenderci cura degli altri?
RispondiEliminasì, esiste ancora.
EliminaQuanta magia in una fiaba!!!
RispondiEliminaGrazie Matilde :-)
EliminaMa è bellissimissimaaaaa!
RispondiEliminaCiao Jennifer :-) grazie di cuore
EliminaBella bella bella!!! Posso portarla a scuola con me e leggerla ai miei bambini? Adoro questa favola e adoro il tuo modo di scrivere. Grazie Claudia e aspetto tua risposta
RispondiEliminaLe fiabe sono per tutti, Stampa quello che vuoi, Veronica e abbine cura
EliminaMagnifica!
RispondiEliminaDavide
Grazie Davide!
EliminaSplendida!
RispondiEliminaGrazie Ester
EliminaBenvenuta Ester e grazie!
RispondiEliminaChe storia dolcissima!!!! Buon Natale!!
RispondiEliminaOrnella
Buon Natale a te Ornella
EliminaChe bella bellissima favola!!
RispondiEliminaIo adoro questa favola!
RispondiEliminaDolcissima. La mia preferita
RispondiEliminaCome spiegare la necessità della morte!
RispondiEliminaDelicata come una carezza.
RispondiEliminaErminia G
Il tempo sembra essere il filo conduttore delle tue storie da quelle dedicate ai bambini alle ultime per adulti C'è molto su cui riflettere. Complimenti.Sono tutte bellissime
RispondiEliminaPia
La prima che ho letto e tra le mie preferite.
RispondiEliminaChiara
Bellissima fiaba. Proprio bella bella.
RispondiEliminaChe tenerezza
RispondiEliminaBellissima, Claudia, complimentissimi
RispondiEliminaQuanto mi piace questa tua favola!
RispondiEliminaMeravigliosa!! Magica, ma tanto reale ugualmente!
RispondiEliminaMagia pura
RispondiEliminaC'è qualcosa di magico i tutte le tue favole, ma questa è davvero oltre
RispondiEliminaOh che bella!
RispondiEliminaGianna
La mia preferita
RispondiEliminaLa mia preferita
RispondiEliminaE' una fiaba dolcissima. Alla fine avevo gli occhi umidi. Ma quanto sei brava?
RispondiEliminaUn abbraccio
Patrizia
Quanta magia e quanta saggezza in questa bellissima fiaba!
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