Molti anni fa,
in una terra solitaria e lontana, viveva una ragazza di cui nessuno aveva mai
saputo il nome.
Si diceva che
fosse figlia del vento e che il suo spirito, puro come la luce, irradiasse una
bellezza tale che nessun uomo, donna o bambino potesse guardarla a lungo senza
piangere.
Ogni sera,
poco dopo il tramonto, la ragazza compariva in cima alla scogliera e, mentre il
sole si spegneva nell’oceano, lei cominciava a danzare.
Danzava
accompagnata dal canto del vento e del mare, sola nella notte, con i piedi
scalzi, un nastro di erica nei capelli e un semplice abito
bianco.
Poi,
all’alba, quando il mondo si svegliava e l’oceano si tingeva di rosso, la
figlia del vento scompariva e con lei la misteriosa magia a cui dava vita
danzando.
I vecchi del
paese raccontavano che lo spirito della ragazza appartenesse a quella scogliera
da centinaia di anni e che da essa, notte dopo notte, traeva nutrimento, forza
e calore. Raccontavano che non aveva mai posseduto niente se non quel vestito
tessuto dalle invisibili mani del vento e che, come il vento, doveva vivere
libera.
Fu così i
vecchi insegnarono ai bambini che abitavano quella terra ad amare la figlia del vento senza per questo rubarle
la libertà.
Una mattina,
poco prima che sorgesse l’alba, una nave passò poco lontano dalla scogliera. Il
marinaio di vedetta alzò lo
sguardo sulla parete di rocce a picco sul mare e lì, in cima, vide la figlia del vento danzare come non
aveva mai visto danzare nessuno in vita
sua.
Calde lacrime
cominciarono a bagnargli il viso e per un attimo, guardandola, provò una
sensazione di pace assoluta così intensa
da desiderare che durasse per sempre.
Poi,
improvvisamente, il sole fece la sua comparsa all’orizzonte e la figurina
danzante svanì.
Molte volte,
nei mesi che seguirono, la nave passò di fronte a quella scogliera e ogni volta
il giovane marinaio scrutava la parete di rocce alla ricerca della sua figurina
danzante.
Col tempo,
però, quei brevi
e intensi attimi di felicità non gli bastarono più.
Fu così che,
una notte dopo l’altra, mentre la nave
solcava oceani lontani, il giovane marinaio si sedeva in cima alla prua con
carta e carboncino e ritraeva la figlia del vento così come la ricordava. E,
disegno dopo disegno, cominciò a rubarle lo spirito. La disegnò mentre danzava
nella nebbia, sotto la luce viola del tramonto, sfumò i suoi lunghi e
meravigliosi capelli, catturò la grazia
della sue mani affusolate e le onde del suo vestito e, ogni volta, aveva la
sensazione che mancasse qualcosa.
Poi, una sera
,disegnò il suo viso, anche se non lo aveva mai visto, e quando anche
quell’ultimo ritratto fu appeso alla parete, un lampo squarciò il cielo e la figlia
del vento venne strappata dalla scogliera.
Ben presto i
cespugli di erica su cui lei danzava si seccarono e la terra a cui era
appartenuta si inaridì. Il vento smise di soffiare e la pioggia non cadde più.
Molto lontano da lì, nella cambusa della nave, sotto
gli occhi increduli del marinaio, apparve uno strano, bellissimo oggetto, un carillon,
a forma di sfera, e tra le sue
pareti di cristallo, danzava la fanciulla della scogliera.
La felicità
che il giovane provò fu così grande che cominciò a piangere senza sapere che
quelle sarebbero state le ultime vere lacrime che avrebbe versato.
Per giorni e
settimane rimase a guardare la figurina
danzare solo per lui, e troppo tardi si accorse di quello che stava succedendo:
non riusciva più a provare alcuna emozione. Più guardava la fanciulla e più si
accorgeva che non c’era più traccia della bellezza e della magia che lo aveva
fatto innamorare.
Disperato, il
giovane scese dalla nave e portò il
prezioso oggetto da un vecchio
restauratore di carrillon.
Gli raccontò
che amava la sua figurina danzante più di ogni altra cosa al mondo e che era
disposto a fare qualsiasi cosa pur di vederla ballare come una volta.
“Restituiscila alla sua terra”, disse il vecchio.
“Così la perderò”, protestò il
marinaio.
Allora il
vecchio lo guardò severamente negli occhi. “La creatura che tu dici di amare
non è quella chiusa tra queste pareti di
cristallo. Forse le
assomiglia, o forse è come tu desideravi che fosse, ma lo
spirito che viveva in lei non è mai stato tuo. Restituiscila alla terra a cui
appartiene prima che la natura si vendichi di ciò che hai fatto,” lo
ammonì il vecchio.
Il marinaio
non lo ascoltò. Tornò alla sua nave e ben presto si dimenticò del vecchio. Ma da
quel giorno i suoi occhi cominciarono a diventare aridi
come la scogliera su cui aveva danzato tanto tempo prima la figlia del
vento. Più
di una volta il
giovane marinaio cercò di piangere, ma non una sola lacrima uscì dai suoi occhi
e quando il mondo intorno a lui cominciò ad appannarsi, si inginocchiò davanti
alla figurina danzante e la implorò di ballare per lui così come aveva fatto
molto tempo prima.
“Perché?” chiese lei sottovoce.
“Perché sto
diventando cieco”, rispose il marinaio e nel momento in cui pronunciò quelle
parole si scatenò la tempesta più terribile che si fosse mai vista. Tuoni e
fulmini squarciarono il cielo, onde gigantesche si sollevarono dagli abissi
dell’oceano e una pioggia di grandine spezzò gli alberi della nave.
“Strappa i
disegni”, disse la figlia del vento.
“No!” urlò il
giovane.
“Se non lo
farai moriremo entrambi”, disse la figurina, ma di lei il marinaio poté udire
solo la voce perché il mondo intorno a lui era stato improvvisamente
inghiottito dal buio.
Rivide la
fanciulla danzare sulla cima della scogliera e
solo allora il suo
cuore vide ciò che i suoi occhi non erano stati capaci di vedere.
Aveva amato
troppo.
E fu allora
che calde e disperate lacrime cominciarono a bagnargli il viso e, una dopo l’altra, quelle lacrime caddero sui
disegni che il marinaio stringeva disperatamente tra le mani, sbiadendoli fino
a cancellare anche l’ultimo tratto di carboncino.
Le nuvole si
squarciarono, il mare si calmò e nella terra lontana e solitaria dove una volta
cresceva l’erica, una lieve pioggia cominciò a bagnare la scogliera
illuminata dal più incredibile e straordinario arcobaleno che si fosse mai
visto.
Vecchi e
bambini uscirono dalle loro case e mentre alzavano i loro volti aridi come la
terra verso quella pioggia benedetta, intravidero in cima alla scogliera la
fanciulla vestita di bianco.
“E’
tornata”, disse sottovoce un vecchio.
“Chi?”
chiese un bimbo troppo piccolo per ricordare.
“Lo spirito
del vento”, rispose il vecchio prendendolo per mano.
E quella notte,
mentre l’aria si riempiva di profumi ormai quasi dimenticati, i vecchi
tornarono a raccontare ai loro bambini la storia della figlia del vento e del
giovane marinaio che in una notte di tempesta era affondato insieme alla sua nave per
restituire alla fanciulla che aveva amato troppo le ali della libertà.
Tutti i diritti riservati©Claudia Mancino
Immagine dal web
triste e dolcissima! Chiara Giordano
RispondiEliminaGrazie Chiara
Eliminaè una storia vera, Chiara. Portata in un tempo e un luogo lontano, ma è vera
RispondiEliminaUna storia sull'amore e il possesso. Quanti uomini ancora confondono le due cose? Quanti convinti che sia la stessa cosa? Hai usato una metafora straordinaria e potente. Siamo tutte figlie del vento.
RispondiEliminaCon affetto una tua fan
Gigliola
Sì, siamo tutte figlie del vento Gigliola
EliminaChe storia bella!
RispondiEliminaGrazie Mari
EliminaA me sembrava di essere lì...
RispondiEliminaNon so se la mia interpretazione è giusta ma io qui ci ho letto qualcosa di molto forte che non riguarda solo l'amore sbagliato tra un uomo e una donna, amore come possesso, ma anche un monito per genitori incapaci di lasciar volare i propri figli. Bellissima
RispondiEliminaSandra
Quando egg queste fiabe io vedo il mondo come dovrebbe essere e com'è e ci penso e ci penso come ognuna di queste storie rimanesse un po' dentro di me
RispondiEliminaPatty
Deliziosa
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