sabato 17 dicembre 2016

Nascosta tra l'erba


Giaceva a terra, tra l'erba alta e incolta, al limitare della foresta.
Lo vide una sera un uomo, camminando stancamente verso casa, sotto il peso di un'amarezza che da molto tempo gli aveva rubato l'anima.
"Cosa sei?" chiese chinandosi verso l'essere che lo fissava.
"Sono la Vendetta. Prendimi con te."
"Perchè dovrei?"
"Ho il potere di raddrizzarti le spalle e farti sorridere di nuovo".
"Rimani pure dove sei", disse l'uomo. "Sono troppo vecchio e stanco. La rabbia di cui hai bisogno non alberga più in me".
Qualche tempo dopo fu la volta di una giovane donna, il volto segnato da qualcosa di molto simile al dolore.
"Cosa sei?" chiese, indugiando tra l'erba
"Sono la Vendetta. Prendimi con te".
"Perchè dovrei?"
"Ho il potere di renderti felice e farti tornare forte".
"A quale prezzo?"
"Nessuno. Ciò che ti brucia dentro, ciò che ti ha ferito tornerà là da dove é venuto".
"E dopo?"
"Dopo sarai invincibile".
La donna esitò a lungo, ma alla fine raccolse la minuscola creatura e la portò con sé.
Passarono molti anni.
Al posto dell'erba fu piantato il grano e un giorno, al limitare della foresta, passò un bambino. Aveva una strana luce negli occhi.
"Ehi, ragazzino!" lo chiamò la creatura. "Non mi chiedi chi sono?"
"Io so chi sei".
"Allora sai che posso aiutarti."
"Come?"
"Prendimi con te. Ho il potere di aggiustare e cose".
Il bambino si avvicinò di un passo. "Tu sei già dentro di me."
"Impossibile, io non ti conosco."
"Guardami. Sono figlio tuo. Tuo e di una donna che ti ha raccolto molti anni fa."
La Vendetta indietreggiò.
"E come figlio tuo ho il potere di restituirti ciò che hai fatto a mia madre"
Detto questo il bambino schiacciò lentamente la minuscola creatura con la punta della scarpa, poi continuò per la sua strada pensando che forse la  Vendetta aveva ragione: restituire il male a chi lo ha fatto rende più forti. E non avendo altro, in qualche strano modo, più felici.


Tutti i diritti riservati © Claudia Mancino
Immagine dal web 

domenica 4 dicembre 2016

Storie tradotte in inglese

I promised, time ago, to have some stories translated in English.





 The boy who made time stand still
Tranlsated by Angela Arnone



Once upon a time there was a little boy who owned only the ragged clothes he had on his back and a funny little coin that glowed even when all around was dark.He didn’t have a house and he didn’t have a family, but our wee boy never felt alone. He lived in a big city full of lights, voices and sounds, and he watched the world moving around him with the eyes of someone who is just waiting for something important to happen.He was happy, our little man. Every morning he was happy to see the yawning young coachman come out of the house, or the grumpy gardener hurrying off to sweep the leaves from the pavement. And he smiled when he heard the familiar sound of the watchmaker opening his shop, and smelled the sweet, warm aroma from the bakery on the corner.



The Violinist
Translated by Angela Arnone


Once upon a time, long ago and far away, a little town was getting ready to celebrate Christmas. Big wrought-iron streetlamps lit the town, with red bows and gold stars tied to every branch of every tree.
When the first shadows of night fell, an old man with a snow-white beard would walk along every street with a long lamplighter. He lit every streetlamp until the small town glowed with warm, flickering light.
It all seemed so perfect. The shops were decorated, elegant people rode in carriages, and smart houses overlooked long, tree-lined avenues.
But in that faraway town, a long time before, everyone had stopped dreaming. One night it began to snow. A thick snow, soft as a pillow, and slowly it muffled every sound, cloaking the small town in an eerie silence.

venerdì 2 dicembre 2016

Punto e virgola


"Sei un codardo", disse il Punto al Punto e virgola. "Ah com'è facile non prender mai decisioni. Sai, ci vuole coraggio a porre fine a qualcosa!"
 "E cosa ti fa credere che io non ne sia capace?"
 "Quella tua minuscola virgola sotto al punto. E' indecisione, è insicurezza, è timore. Come una porta lasciata socchiusa". 
 "E cosa c'è di male in una porta socchiusa?" 
 "E' una scelta molto comoda. Oppure una non scelta". 
 "Quindi tu sei una porta chiusa".
 "Esatto. Io sono la fine e l'inizio di qualcosa di completamente nuovo", si vantò il Punto.
  "Significa che volti definitivamente le spalle al passato?
  "Sì, sempre e per sempre".

  "Si può ricominciare anche senza sbattere la porta in faccia al passato", gli fece notare il Punto e virgola. "Sai, anche porre definitivamente fine a qualcosa, a volte, è una scelta comoda."
  "Stai giocando con le parole!"

  "Si chiama rispetto, signor Punto e a capo. Anche le parole hanno un'anima. Il mio punto, quello che vedi in alto, è la fine della mia fiducia e della mia amicizia. Può essere anche la fine di un amore. Succede. Si cambia, ci si allontana, ci si perde. A volte senza un motivo. Ma la virgola, quella che ti infastidisce tanto, non è vigliaccheria o indecisione. E' la lacrima che verso ogni volta che scelgo di lasciarmi alle spalle il passato. Sta lì a ricordarmi che la fine di qualcosa fa sempre male. A me e all'amico che ho perso, a me e alla donna che ho amato, a ciò che un tempo ero e ciò che sono diventato ora, anche quando è la sola cosa giusta da fare. Quella minuscola lacrima è il legame invisibile con un mondo che non mi appartiene più, ma che porterò dentro il mio cuore tutta la vita."

Immagine dal Web

sabato 19 novembre 2016

Anima

 

L'anima di un uomo si costruisce intorno alla percezione che egli ha della propria mortalità.
Forse sta tutto lì. Ciò che siamo destinati a fare, ciò che siamo destinati a essere.


Claudia Mancino 


Immagine dal web

martedì 24 maggio 2016

Perché io possa immaginarti uomo







Ho bisogno che qualcuno mi racconti di Dio.
Senza retorica, senza frasi fatte.
Ho bisogno che qualcuno mi parli di lui usando parole che comprendo. Non dogmi.
Che gli dia un volto e un'anima, perché io possa immaginarlo uomo.
Che dipinga i suoi occhi perché io possa vederli piangere quando gli chiederò perché.
Ho bisogno di qualcuno che mi racconti che suono ha la sua voce, perché io possa riconoscerla, senza paura, quando gli domanderò quanta forza richiede il silenzio.
Ho bisogno di un volto, di occhi, di una voce perché se Dio esiste, io devo sapere dove cercarlo. Senza smarrirmi.

.... le altre parole sono momentaneamente scomparse per essere incluse in un progetto in collaborazione con un compositore, attori e musicisti.


Tutti di diretti riservati © Claudia Mancino
Foto dal web

venerdì 1 gennaio 2016

La porta


La tua porta. Non riesco a smettere di guardarla. 
Ricordo il rumore esatto della chiave nella toppa, il lieve cigolio che precedeva il sorriso che mi accoglieva, caldo come il profumo di cannella che scivolava per le scale quando la porta si socchiudeva.
Non hai voluto che ti vedessi mentre ti spegnevi.
Hai tenuto la porta chiusa. Per pudore.
Il tempo, per noi, aveva preso due strade diverse.
Il mio era vento. Il tuo sabbia. 

Io mi lasciavo trasportare, senza una reale coscienza delle lancette che correvano, inghiottendo le settimane e poi i mesi, sempre uguali, sempre veloci.
Tu, al contrario, cercavi disperatamente di trattenerlo.
Hai tenuto la porta chiusa. E io non avevo capito perchè. Il mio tempo avrebbe confuso il tuo. E tu non potevi permettere alle tue lancette di correre.
La solitudine ha dilatato i mesi che hanno preceduto la fine.
Sono la sola a sapere.
Strano come nessuno si sia accorto che non ci sei più.
I tuoi fiori sono appassiti. Del profumo di cannella è rimasto solo un ricordo.
Hai vissuto in questa casa per quarant'anni anni. Eppure nessuno ha percepito il vuoto della tua assenza.

Amavo la tua porta. Era conforto, conoscenza, amore.
Mi hai detto addio a modo tuo.
Io ancora non ci riesco.
Aspetto sempre di sentire il rumore delle chiavi nella toppa. Un sola volta.

L'ultima.

 a Daci, ovunque tu sia

martedì 10 novembre 2015

Il potere delle parole






Capita di usare le parole in modo inappropriato o addirittura in modo infelice. Capita di sceglierle male, di pensare che in quel particolare momento ciò che conta è l'effetto che producono. Capita di sottovalutarle, di non cogliere tutto ciò che, nell'immaginario comune, è legato a esse, capita di dimenticarsi che la storia cambia il loro significato, tingendole di ombre di cui non si libereranno mai più.
Capita di prenderle in prestito da altri perché suonano bene, perché pronunciarle ci fa sentire più intelligenti o più forti,  capita addirittura di usarle senza capirle davvero.
Ma quando qualcuno le scrive perché vengano lette, allora meritano un rispetto particolare, meritano una riflessione che fermi le lancette del tempo, che valuti ciò che spesso non si vede: il loro immenso potere creativo e distruttivo.
Una volta scritte non perdonano. Diventano specchio di ciò che siamo o non siamo, dei nostri pensieri o della mancanza di essi.
Scegliere le parole da usare è una responsabilità enorme. Soprattutto se etichettano, feriscono, manipolano, accusano, emarginano o racchiudono odio. Usate male, sono pietre.
Nascondere la mano, dopo, non è più possibile. Una volta scritte, mettono radici.

                       Claudia Mancino