domenica 7 giugno 2015

Filo d'argento

                                                       


C’era una volta, nella Parigi delle carrozze e degli strilloni, una piccola e graziosa bottega che confezionava abiti molto speciali.
   A renderli tali erano le mani di una sartina non più giovane che sapeva tagliare, cucire e ricamare con una grazia e un talento che poche persone al mondo possedevano.
   Un tempo era stata bella come le signore che varcavano la porta della sartoria,  forse non ricca ed elegante come loro, ma bella sì!
   Da allora erano passati molti anni e, come spesso accade, il tempo aveva spruzzato d’argento i suoi capelli e sbiadito i ricordi di una vita che non le apparteneva più.
   Il piccolo retrobottega del negozio era diventato il suo mondo, la sua finestra segreta su quella città che ogni mattina si svegliava per raccontare centinaia di storie che lei amava ascoltare.
   E mentre le mani della sartina imbastivano e cucivano, i suoi occhi osservavano la vita che scorreva al di là del vetro appannato.
  Il garzone del fornaio che correva per non arrivare tardi la lavoro e che ogni mattina inciampava nello stesso gradino facendo volare per aria quei libri da cui non riusciva a separarsi. La fioraia che sistemava tulipani e rose in vetrina, cercando di nascondere agli occhi della gente le sue mani nodose e segnate da graffi che non sarebbero mai guariti. Il giovane padre che accompagnava in silenzio i suoi bambini a scuola, cercando di celare dietro un sorriso lo sguardo immensamente triste di un uomo solo.
   Giorno dopo giorno, le persone che animavano quell’angolo di mondo oltre la finestra, erano diventate parte della sua vita.  E così come aveva sempre fatto, all’interno di ogni abito confezionato per loro, Josephine ricamava la propria iniziale con un suo capello d’argento, sperando che quell’invisibile gesto d’amore avrebbe portato loro un po’ di felicità.
   Negli anni, ognuno di quei capelli d’argento portò all’avverarsi di un sogno creduto impossibile. Ed era questa la vera felicità di Josephine.
   Fu così che in un giorno come tanti altri, il padre rimasto solo a crescere i suoi figli, incontrò una bellissima donna e se ne innamorò perdutamente e che qualche tempo dopo il garzone distratto inciampò in un distinto signore che, commosso dalla sete di sapere del giovane, decise di prenderlo sotto la sua ala e pagargli un’istruzione che gli avrebbe permesso di cambiare vita.
   Senza mai uscire dall’ombra, Josephine donò la felicità a molte più persone di quante potesse immaginare.
   Non aveva mai chiesto o desiderato una vita diversa da quella che aveva. Le bastava la piccola bottega all’angolo della strada, abbastanza legna per scaldarsi nelle gelide notti invernali e quella felicità semplice, fatta di piccole cose come il profumo di cioccolata calda o il sorriso di una cliente quando le consegnava l’abito che aveva sognato.

   Cominciò un autunno, quasi senza che se ne accorgesse. Un volto imbarazzato che prometteva di pagare l’abito non appena avesse avuto i soldi, occhi tristi che chiedevano di poter acquistare un cappotto per il figlio, pagandolo un po’ per volta e a ognuno di loro Josephine disse di sì, certa della loro bontà e onestà. Aveva visto periodi più bui, durante i lunghi anni della guerra, e ricordava la fame e la disperazione. Forse proprio per questo Josephine non riuscì a negare il suo aiuto a nessuno.  
    Poi arrivò il vento del nord e la neve. Cominciò a mancare la legna per scaldarsi e come spesso accade, la spirale della povertà inghiottì i più deboli e spaventò i più ricchi. Ma se i primi cercarono di saldare i loro debiti con quel poco che possedevano, gli ultimi presero tempo, senza rendersi conto che la povertà si nutre del tempo come il fuoco dell’aria.
   Josephine smise di comprare le stoffe più belle, e un po’ per volta la bottega si svuotò delle clienti più facoltose. Le sole stoffe che poteva permettersi non erano alla loro altezza.
   Fu la  prima volta che Josephine, mortificata dalla vergogna e dall’imbarazzo, si trovò a chiedere loro di saldare il debito. Naturalmente, e non senza un certo fastidio, le fu promesso che l’indomani l’autista o la cameriera avrebbe provveduto a recapitarle quanto dovuto.
   Ma i giorni passarono e nessun autista bussò alla sua porta.
  Ciò però non impedì loro di continuare a mandare a Josephine i loro eleganti capi da stringere, allargare e impreziosire con un ricamo. E ancora una volta Josephine confidò nella loro onestà, sapendo che anche una sola moneta d’argento avrebbe fatto la differenza.
   Invece la bottega cominciò a diventare sempre più fredda e quando anche il filo per cucire finì, Josephine fece la sola cosa che poteva fare: si strappò alcuni dei suoi lunghi capelli d’argento e li usò per terminare il lavoro.
   Lavorò incessantemente notte e giorno, al lume di candela e al freddo, ripetendosi che prima o poi l’inverno sarebbe finito e che la primavera avrebbe reso tutto più facile.
    Passò il Natale e passarono i giorni della merla. Quella che una volta era la lunga e folta chioma d’argento di Josephine ora somigliava a uno spolverino. Sarebbero passati anni prima che i capelli ricrescessero abbastanza da poterli usare come filo da cucire. Smagrita in volto e pallida per le notti passate insonni, Josephine vinse la vergogna e, per la prima volta dopo anni, uscì dalla sua bottega per andare a bussare alle porte di chi l’aveva ridotta in povertà. E fu quel giorno che scoprì l’umiliazione del dover chiedere ciò che era sempre stato suo. Ogni moneta che cadeva nella sua mano, bruciava come il fuoco e ogni sguardo di pietà mista a irritazione, era un ago piantato nel cuore.
   Quel giorno raccolse 24 monete d’argento, abbastanza per poter comprare un bel taglio di stoffa e una cassetta di fili nuovi, ma non per cancellare l’umiliazione e gli stenti di quel lunghissimo inverno.
   Sotto il peso di una stanchezza mai provata prima, tornò alla bottega e per diversi giorni rimase a guardare il mondo fuori dalla sua finestra, ricordando gli anni in cui quelle stesse strade erano animate dalle voci e dalle risate delle brave persone. L’ombra della fame e della povertà aveva spento molto più del fuoco nei camini. 
    Fu all’alba del terzo giorno che Josephine seppe cosa doveva fare. Prese l’ultimo vecchio scampolo di stoffa dal cesto e cucì un caldo manicotto per la fioraia. Al suo interno, ricamò la propria iniziale con ciò che rimaneva della sua lunga chioma. Lasciò sul tavolo da lavoro le 24 monete d’argento e dopo aver consegnato il pacchetto al postino, s’incamminò lentamente lungo la strada che portava fuori dalla città.
    Le monete furono trovate molte settimane dopo.
    Nessuno si era accorto della scomparsa della sartina che aveva sempre vissuto nell’ombra fino al giorno in cui le cuciture degli abiti confezionati nella fredda disperazione di quell’inverno, e mai pagati, presero misteriosamente fuoco, lasciando sulla pelle di chi li indossava un minuscolo marchio d’infamia mentre gli abiti che portavano al loro interno l’iniziale ricamata di Josephine, simbolo di una bontà che non chiedeva nulla in cambio, hanno varcato oceani e cime innevate di tutto il mondo mantenendo nei secoli, il loro dono più prezioso: portare, a chi li indossa, la felicità.
         Dedicata a tutti coloro che hanno il coraggio dell’onestà


                          Tutti i diritti riservati Claudia Mancino
                             Illustrazione di Filippa Firriolo