mercoledì 20 maggio 2015

La strada del vento







Ci sono storie che, come un lieve soffio di vento, passano di bocca in bocca, che nel buio della notte sorvolano immensi campi di grano e s’insinuano, invisibili, tra gli alberi dei boschi, che viaggiano attraverso il tempo e lo spazio, a volte in carrozza, a volte in treno e che solcano oceani sempre più lontani senza essere mai toccate da burrasche o tempeste. Storie che come foglie vengono strappate dal luogo in cui nascono per essere portate, in punta di piedi, nelle case di tutto il mondo.
   E non c’è davvero nulla che possa fermarle perché ogni storia possiede un destino proprio, una forza che resiste al passare inesorabile del tempo per portare un sorriso o una lacrima a chi, nei secoli, ascoltandole, le saprà amare.
Questa che sto per raccontarvi è una storia che accadde molto tempo fa, in un luogo forse non troppo lontano, ma che ha viaggiato per molti e molti anni prima di arrivare fino a qui.
                 
  C’era una volta una piccola, strana città attraversata da così tanti canali che a vederla dall’alto e con gli occhi di un bambino poteva sembrare una bellissima ragnatela d’acqua.
    Al centro della piccola città, proprio dietro il vecchio mulino, abitava un bambino di nome Un Soldo.  Aveva i capelli sempre in disordine, i calzini spaiati, la camicia abbottonata a modo suo e un mucchio di biglietti colorati accartocciati nelle tasche dei pantaloni.
   Dovete sapere che, nonostante fosse sempre vissuto lì, a Un Soldo le strade e le case di quella piccola città sembravano tutte uguali e, per quanto si sforzasse, proprio non riusciva a non perdersi.
    Era così che a sua mamma era venuta l’idea di preparargli quei biglietti. Un biglietto con sopra disegnato un pettine per ricordargli, appena uscito di casa, di passare davanti alla bottega del vecchio  barbiere; un biglietto con la torta al cioccolato per ricordargli di attraversare la strada davanti alla pasticceria; quello con l’acqua per indicargli il piccolo ponte in fondo alla strada e quello con un berretto perché non si dimenticasse di svoltare all’angolo dell’elegante negozio dei cappelli prima di arrivare a scuola.
  Nonostante tutti questi biglietti, Un Soldo continuava a perdersi.
   “Dritto verso la pasticceria”, si raccomandava il vecchio barbiere ogni mattina quando lo vedeva passare.
   “Attraversa il ponte e non lasciarti distrarre dalle farfalle”, gli ricordava con dolcezza la  pasticciera.
  “Stamane vetrina nuova”, lo informava il poliziotto con un caldo sorriso. “Cappelli con i fiori per signore vanitose.”
  E a tutti, Un soldo rispondeva con un educato grazie.
  Ora, capitava a volte che il barbiere fosse intento a sbarbare il sindaco in persona o che la pasticciera stesse glassando la sua famosa torta ai lamponi e allora Un Soldo era finalmente libero di guardare quel mondo che tanto lo affascinava senza distrazioni.
   Naturalmente sapeva di avere le tasche piene dei biglietti della mamma e ogni volta si riprometteva di usarli, ma poi accadeva qualcosa di così incredibile e meraviglioso da fargli dimenticare tutto. Con la coda dell’occhio vedeva uno stormo di rondini volare sopra di lui e all’improvviso Un Soldo aveva la sensazione che se le avesse seguite forse avrebbe scoperto il segreto per volare come loro e, con il cuore che gli batteva forte in petto, correva e correva in mezzo ai campi di tulipani, gli occhi fissi al cielo a studiare quegli strani, misteriosi disegni che le rondini tracciavano sopra di lui.
   Altre volte arrivava una folata di vento un po’ più forte del solito, si insinuava tra le chiome degli alberi e quel fruscio…. quel fruscio sembrava portare con sé una  melodia appena sussurrata a cui Un Soldo non poteva resistere. Non conosceva le note e non aveva mai studiato musica, ma quando il vento sfiorava le cose intorno a lui, allora Un Soldo sentiva suonare nella sua testa un’intera orchestra e sapeva distinguere il suono dolce dei violini da quello più caldo dell’oboe  e ricominciava a correre, senza fermarsi, dietro al vento, ascoltando quella musica che solo lui poteva sentire.
   Fu questo il motivo per cui il nostro bambino venne chiamato Un Soldo.
   Nessuno aveva mai capito cosa gli passasse per la testa e fin da quando era piccolo, gli adulti non avevano fatto che domandargli: ”Un soldo per i tuoi pensieri”, sapendo esattamente che lui non avrebbe mai dato loro una risposta.
   Ma come poteva, Un Soldo, dare un nome o spiegare a qualcuno il senso di tutti quei pensieri che gli frullavano in testa? La musica nascosta dal vento o si sentiva o non si sentiva. E poi, a pensarci bene, c’erano pensieri che nemmeno lui capiva bene.
   Ma di una cosa Un Soldo era assolutamente sicuro:    il  mondo  che   lo circondava  era  molto  più  incredibile e misterioso di quello che tutti immaginavano. Bastava saperlo guardare in modo diverso.
    Fu probabilmente per questo che Un Soldo non imparò mai la strada per arrivare a scuola, ma quella per tornare a casa, quella la trovò da solo, anche se per il resto del mondo rimase un mistero. Né la pasticciera né il barbiere lo videro mai fare ritorno la sera, e se quella fosse stata una città come tante altre, allora nessuno si sarebbe interrogato a riguardo, ma in mezzo a quel luminoso labirinto di canali  trovarsi un’altra strada per raggiungere la casa accanto al mulino era quasi impossibile.
   Eppure ogni sera Un Soldo si presentava sulla porta di casa con gli occhi che brillavano di felicità e un vecchio sacco di tela colmo di strani, preziosi oggetti luccicanti che aveva raccolto chissà dove e che custodiva gelosamente sotto il letto.
   Ma come tutte le cose che riguardavano Un Soldo, la gente non si chiese mai veramente come facesse a tornare a casa o a cosa gli servissero tutte le cose che nascondeva nel sacco che portava sulle spalle.
   Quel bambino sempre arruffato e sorridente aveva il potere di confondere gli adulti. Per anni non fu in grado di imparare le cose più semplici poi, un giorno, senza un perché, tutto ciò he  gli  era  stato  insegnato  gli  divenne improvvisamente chiaro, così chiaro che per un intero inverno non riuscì più a staccare il naso da quei libri che, per la prima volta, sembravano avere davvero un senso.
   In brevissimo tempo Un Soldo imparò a mettere insieme ciò che leggeva  con le cose che aveva imparato osservando il mondo dal suo punto di vista e pensò che forse un giorno sarebbe riuscito a spiegare  a  chi non  lo capiva che c’era sempre un’altra strada da percorrere per afferrare il senso delle cose.   
   Passarono gli anni, Un Soldo divenne grande e si costruì una casa tutta sua, là dove la ragnatela di canali diventava così fitta che nessuno aveva mai osato avventurarcisi. A guardarla da lontano, quella casa in mezzo all’acqua brillava come un diamante e, col tempo, si cominciò a narrare che quel ragazzo gentile e solitario avesse scoperto il segreto degli arcobaleni e che ogni sera, al calar del sole, ne nascesse uno proprio dalla sua casa.
    Fu in una fredda giornata di autunno che, tornando a casa, Un Soldo si accorse di essere seguito. Era una bambina molto più piccola di lui, i calzini spaiati, la camicetta abbottonata  a   modo  suo  e   le  trecce   bionde spettinate sulle spalle. Per un po’ Un Soldo finse di non vederla e per un po’ la bambina si nascose dietro gli alberi ogni volta che lui si girava a controllare.
    Accadde di nuovo il giorno dopo e quello dopo ancora, finché Un Soldo non decise che era arrivato il momento di fare amicizia e il terzo giorno l’aspettò sotto una vecchia quercia al delimitare del bosco.
    La bambina si avvicinò piano piano e prima ancora che lui avesse il tempo di chiederle chi fosse, lei tirò fuori dalla tasca del suo vestitino un mucchietto tutto accartocciato di biglietti colorati e glieli mostrò.
   Allora Un Soldo capì.
   E sorrise.
   “Non so leggere”, disse la bambina semplicemente.
   “Imparerai”, rispose Un Soldo come se fosse la cosa più naturale del mondo.
   “E non riesco a ricordarmi i numeri”, continuò la piccola.
   Un Soldo alzò le spalle e sorrise di nuovo. “Un giorno li capirai”.
   “Davvero?”
   “Perché mi segui?”
   “La pasticciera dice che conosci il segreto per non perdersi”.
   “E’ vero”.
   “Ecco, credo di aver bisogno del tuo segreto”, disse la bambina.
   “Non so se il mio segreto va bene anche per te”, rispose Un Soldo con dolcezza. “Ma ci possiamo provare. Come ti chiami?”
    La bambina sorrise. “ Mi chiamo Lisa”.
   “Bene, Lisa, ti aiuterò a trovare il tuo ingresso segreto per questo mondo, ma la strada che poi percorrerai, quella dovrai trovarla tu.”
   Il mattino dopo Un Soldo accompagnò Lisa a scuola. Vedendoli passare davanti alla sua bottega, lui ormai adulto e lei ancora piccina, entrambi con la camicia abbottonata a modo loro, il barbiere sorrise commosso e senza accorgersene tagliò via il lungo, elegante baffo grigio al sindaco in persona. Poco più in là la pasticciera rimase con la ciotola a mezz’aria, gli occhi velati di lacrime, e quando qualche minuto più tardi tornò al lavoro si rese conto che la sua famosa torta ai lamponi era scomparsa sotto una montagna gigantesca di panna.
    Qualche tempo dopo,  tra i rami degli alberi lungo la strada comparvero degli strani, piccoli tubi di metallo che riempirono la piccola città di suoni così caldi e belli che la  gente  del posto iniziò a  raccontare che Un  Soldo  fosse riuscito a donare una voce a quel vento che aveva sempre inseguito e amato.   
  Passò l’autunno e passò l’inverno.
  Fu con l’arrivo della primavera che la nostra magica città sull’acqua iniziò a brillare di tante piccole e misteriose lucine. Erano schegge di specchio incastonate nelle pietre accanto ai canali, lungo i sentieri dei campi e nelle folte chiome degli alberi.
  Allora fu chiaro che anche Lisa aveva trovato la sua strada.  
   
 Accadde in un giorno come tanti altri. Il vento soffiava leggero e il sole faceva brillare di una luce tremolante le centinaia di specchietti nascosti per la città.
  Cominciarono i bambini, poi gli adulti, uno per volta, incuriositi, forse un po’ spaventati ma al tempo stesso emozionati come non accadeva loro da tanto tanto tempo. Qualcuno seguì la misteriosa voce del vento e qualcuno seguì la strada indicata dai colori della luce, lungo il canale principale, dentro il vecchio bosco di querce, attraverso quella miriade di piccoli canali di cui avevano dimenticato l’esistenza e, un passo dopo l’altro, entrarono nel magico mondo che solo Un Soldo e Lisa avevano saputo vedere, ma che era sempre stato lì, sotto gli occhi di tutti.
  E compresero ciò che Un Soldo aveva sempre saputo: che esiste una strada per ognuno di noi, forse più lunga e a volte un po’ più complicata, ma capace di portare ogni bambino là dove deve andare.


Questa favola è stata scritta per il mio bambino Luca che un giorno troverà la sua strada… senza perdersi




Tutti i diritti riservati © Claudia Mancino
Illustrazione di Anna Bertenasco