giovedì 21 maggio 2015

Bisbigli




Ho perso il conto degli anni. A volte ho la sensazione che Dio mi abbia fatto vivere molto più a lungo di quanto il destino mi avesse concesso e non avere un volto su cui misurare il passare del tempo fa di me un uomo maledetto.
Ciò che accadde quel lontano inverno avrebbe dovuto essere un monito per tutti noi.
Eppure non fu così. La nostra vita continuò esattamente così come era sempre stata. Non cambiò nulla. Né la gente, né la sua cattiveria.
Sotto le spoglie di un piccolo paese affacciato sull’oceano si celava un mostro e, noi tutti, avevamo permesso alle sue radici di affondare nella nostra terra e moltiplicarsi sotto le nostre case.
Furono quelle radici a trasformarci, anche se nessuno di noi conservava memoria dell’esatto momento in cui era accaduto.
Iniziò lentamente, molti anni prima che nascessimo. Iniziò dalle strade e dalle piazze, poi fu la volta delle case e dei negozi e infine… infine toccò alle persone.
Ogni singola cosa in quello strano paese era diventata stretta, come se qualcosa avesse, un po’ per volta, consumato e mangiato pietre e mattoni e… carne. Perché anche noi, come tutto ciò che ci circondava, eravamo diventati stretti. Stretto e appuntito era il nostro naso, strette erano le nostre labbra e stretta la fessura dei nostri occhi.
Non ci era concesso vedere più in là di qualche spanna.


Fu questo il motivo per cui, quando in quella lontana e nebbiosa mattina d’inverno di molti anni fa, una giovane coppia si stabilì nella casa accanto al faro, nessuno se ne accorse.
Fu un ragazzino, a cui non si era ancora ristretto del tutto il naso, a percepire la loro presenza annusando l’aria. Era un odore caldo e delizioso che accarezzava le narici e vibrava sulla pelle come un esercito di formiche.
Prima che la sera scendesse, l’intero paese bisbigliava freneticamente.
“Inconcepibile”, sussurravano le donne nei vicoli.
“Avveleneranno l’aria”, sosteneva qualcuno.
“Un presagio funesto”, sibilava qualcun altro.
Quella notte furono in pochi a dormire. Chi fissava dal buio della propria casa le finestre illuminate accanto al faro, chi annusava l’aria nella speranza di cogliervi quella fragranza di cui tutti parlavano, ma che nessuno avrebbe mai ammesso di non sentire.
Eppure il mattino dopo erano tutti concordi nell’affermare che, nottetempo, quell’odore si era insinuato tra le strade del paese e che, come un serpente, era scivolato sotto le loro porte.
“Nauseabondo”, confabularono alcuni.
“Annebbia il cervello”, affermarono altri.
“Brucia la gola”, asserì un uomo quasi sottovoce.
Nessuno, però, ebbe il coraggio di avventurarsi fino alla casa accanto al faro.
Rimasero tutti in attesa che i suoi misteriosi abitanti venissero in paese.
Ma di loro, neppure l’ombra.
Passarono giorni e settimane. Piovve e tornò il sole, ma l’unico segno di vita rimase il fumo denso e grigio che fuoriusciva dal camino della casa accanto al faro. E quel fumo divenne la nostra ossessione.
“Dovranno pure mangiare”.
“E se si procurassero il cibo in modo non convenzionale?”
“Alla vedova che abita dietro la piazza è sparito un gatto”.
Nei vicoli calò un lungo silenzio.
“Ecco perché quell’odore disgustoso”, bisbigliò una donna e un attimo dopo il suo volto si assottigliò come la lama di un’accetta. “Mangiano i nostri animali…”
E vicolo dopo vicolo, i bisbigli si moltiplicarono e crebbero, appiccicandosi sulle panchine, sui muri e sul selciato per poi incollarsi alla suola delle scarpe dei passanti ed entrare nelle botteghe. E qui, mezze parole calpestate e portate da decine di scarpe si mescolarono ad altre mezze parole, prendendo forme distorte e terribili.
“Tenete i vostri bambini chiusi in casa,” ammonivano i più anziani.
“Chiudete le porte a chiave”.
“Non uscite mai dopo il tramonto”.
“Non uscite mai soli…”

Sottoterra, le radici del mostro si erano risvegliate.

All’alba del giorno dopo fu interpellato il sindaco in persona.
“Nessuno dorme più”, lo informarono.
“I bambini hanno perso l’appetito”.
“E hanno paura”.
“Quella gente deve andarsene”.
“Lei, signor sindaco, deve fare qualcosa”.
E quella notte, mentre tutti prendevano finalmente sonno, certi che il sindaco avrebbe provveduto a risolvere il problema, il pover’uomo, in preda all’agitazione camminava curvo avanti e indietro per le anguste strade del paese.
Ma come tutti gli uomini di poco coraggio scelse di seguire la strada dell’ombra. Convocò il ragazzino che sapeva annusare l’aria e gli promise fama e gloria in cambio di informazioni sulla coppia del faro.
Fu così che il ragazzino che sapeva annusare l’aria cominciò ad avventurarsi oltre il sentiero che limitava il paese e, sera dopo sera, al calar del sole, tornava dal sindaco a raccontargli ciò che aveva visto. L’uomo ascoltava avidamente ogni dettaglio, gli occhi fissi come punteruoli in quelli del ragazzino poi, con la mano tremante per l’emozione trascriveva parola per parola sulle pagine ingiallite del suo antico libro nero.
Ma con il passare dei giorni accadde qualcosa che nessuno aveva messo in conto: il ragazzino cominciò ad amare le ore trascorse nascosto tra le fronde dell’acero accanto al faro. Quella coppia che tanto spaventava gli abitanti del paese cominciò ad affascinarlo. Cucinava e mangiava cibi che il ragazzino non conosceva, ma il cui profumo inebriava l’aria, trascorreva ore a chiacchierare e ridere in giardino e lavorava senza sosta nell’orto dietro casa. Insomma, sembrava bastare a se stessa e se il ragazzino avesse dovuto scegliere una parola per descriverla avrebbe scelto “felicità”.
Fu quella loro semplice felicità a trasformare lentamente i tratti del bambino. Cominciò dalle guance, che un po’ per volta si ammorbidirono, poi gli occhi che pian piano si ingrandirono e infine anche le labbra che si riempirono.
Per quanto lento, questo cambiamento non passò inosservato. La gente del paese cominciò a guardare il ragazzino in modo diverso e ben presto i bisbigli crebbero come il vento che alimenta il fuoco.
“Non sembra più uno di noi”.
“I suoi occhi sono più grandi”.
“E sembra molto ben nutrito”.
“Ce lo stanno portando via… “
“… lo hanno stregato”.
Anche il sindaco si accorse che qualcosa era cambiato nel volto del ragazzino e, al calar della notte, quando fu sicuro che nessuno li avrebbe visti né sentiti, chiuse la porta a chiave, alzò la mano e schiaffeggiò il ragazzo.
Un solo colpo.
Poi, come se nulla fosse, si sedette di fronte a lui e piegò le labbra affilate in un sorriso.
“Mangi con loro?”
“No, signore!”
“Parli con loro?”
“No, signore!”
“Sei entrato nella loro casa?”
“Mai, signore”.
“Cosa accade veramente lì dentro?”
“Nulla, signore”.
“Nulla?”
“Nulla”, balbettò il ragazzo.
“Attento, ragazzo, a non mentirmi mai!”
“Non lo farò, signore”.
“Allora, raccontami quello che hai visto oggi”.
Il ragazzino che annusava l’aria, per la prima volta nella sua vita ebbe davvero paura.
Quella notte, davanti allo specchio, si toccò e si ritoccò i lineamenti del viso, chiedendosi perché stava succedendo a lui.
Non lo avrebbero più voluto. Lo avrebbero mandato via e non gli avrebbero mai permesso di tornare. Perché le persone sanno essere cattive, anche senza alzare il pugno. Perché ogni loro bisbiglio diventa come una pietra che ferisce senza lasciare il segno e perché ognuno di questi bisbigli serviva a nutrirne centinaia di altri.
Quella fu la notte più lunga della sua vita. E fu anche la prima volta in cui il ragazzino provò per la giovane coppia del faro qualcosa di molto simile all’odio. Gli avevano permesso di sbirciare nel loro mondo pur sapendo che lui non ne avrebbe mai fatto parte e lentamente lo avevano trasformato.
Se solo non fossero stati tanto stupidi da sottovalutare la forza divoratrice dei bisbigli…
Forse la sua gente aveva ragione, forse c’era qualcosa di maledettamente sbagliato in quella coppia, qualcosa che lui non riusciva a vedere.
Eppure, in fondo al cuore, il ragazzino, sapeva che c’era una sola cosa giusta da fare.
Ma sapeva anche che non sarebbe mai riuscito a farla.
Doveva spegnere il fuoco dei bisbigli prima che fosse troppo tardi e un giorno forse non troppo lontano, avrebbe dimenticato la coppia del faro come se non fosse mai esistita.
Il mattino dopo, nascosto in un vecchio mantello, si recò dal sindaco per raccontargli ciò che tutti si erano sempre aspettati che raccontasse. E, con il volto coperto da un logoro cappuccio, parlò e parlò, lasciando che le lacrime scavassero come lame quel viso che lo aveva reso tanto diverso.

Non seppe mai che fine fece la giovane coppia del faro.
Fu circondato di attenzioni e di fama per il tempo sufficiente perché i ricordi di quell’inverno sbiadissero nella sua mente, ma da quel giorno, per il resto della sua vita, il ragazzo che sapeva annusare l’aria, visse in silenzio, il volto nascosto dal logoro cappuccio del tradimento per il timore di vedere il suo viso deformato dalle radici del male.

Scelsi la strada della paura.
Ero solo un ragazzo, ma non seppi oppormi alla cattiveria.
Ciò che ha deformato il mio volto ha risparmiato i miei occhi, perché io potessi vedere il frutto di ciò a cui avevo dato inizio.
Non durerà in eterno. Le radici del mostro a cui noi tutti abbiamo dato vita hanno quasi divorato l’intero paese.
Siamo destinati a scomparire, uno dopo l’altro, cannibali di noi stessi.

La sola cosa che rimarrà intatta, sarà la casa accanto al faro.

   





Tutti i diritti riservati © Claudia Mancino

Illustrazioni di Anna Bertenasco